Su Malloru, in sardo il toro, è il titolo del lavoro svolto nel mese di maggio 2017 per la residenza a Campi d’Arte, Ussana.
Questo è il testo della presentazione:
L’arte come taurocatapsia
di Alessio Trabacchini
Toro, cervo, cavallo… come nelle profondità della terra che i nostri antenati sentirono il bisogno di dipingere. E come nel cielo stellato, che sentirono il bisogno di dividere, attribuendo nomi.
Serpente, fenice, Osiride, Cristo, Dioniso… morire e rinascere, sacrificare e rendere omaggio, liberare gli istinti, dominare gli istinti. Qual è il senso di questo gioco? Saremo abbastanza agili da trovare la risposta? Dove ci porta questo legame uranico e terrestre, questo sguardo dorato che unisce la testa del toro al racconto della sua storia e della sua gloria?
Forse – e questo è il primo salto – al timpano del(l’ex) Mattatoio di Roma, a Testaccio, enorme fino all’orrore, sterminato teatro di sterminio e più grande tempio mitraico mai costruito. Qui si tratta, come si dice, di prendere il toro per le corna. E di affidarsi agli scorpioni.
Oppure – secondo salto – faremo una capriola sulla schiena del toro in corsa e ci poserem
o, con leggerezza di adolescente, nell’isola di Creta. Prima del labirinto, con la costellazione appena battezzata e le dee che avanzano ridendo con un serpente per mano. L’armonia con il toro è lo stato di grazia.
O ancora, al culmine dello slancio taurocataptico – terzo e ultimo salto – potremmo toccare terra nel deserto del Nuovo Messico, nel villaggio di Oraibi. Qui, i Pueblo, mamuthones locali, indossano le maschere di cuoio e tornano animali, perché vengano le nuvole e la terra diventi fertile.
Il serpente è uno strano toro – niente zampe, niente pelo, discutibile apparato genitale, di rado le corna –, nondimeno muore e rinasce. E, nel corso del rituale dei Pueblo, diventa mediatore tra le necessità dell’uomo e le forze della natura. Certo, è pericoloso, così come lo è giocare con un bovino infuriato, ma “non c’è valore, nell’arte, senza l’equivalente di quello che per il torero è il corno aguzzo del toro”.
Se non credete più negli antichi dei, sappiate almeno che il toro ci ricorda la gioia e il rischio.
Poi piove.